XXXVIII Stagione Teatrale di Prosa: CASA DI BAMBOLA

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Descrizione

ASSOCIAZIONE TEATRALE PISTOIESE
CENTRO DI PRODUZIONE TEATRALE
con il sostegno di
Regione Toscana, MIBACT

Quando nel 1879 Casa di bambola fu rappresentato per la prima volta, il dramma suscitò scandalo e polemica ovunque per la sua lettura come esempio di un femminismo estremo, tanto che in Germania Ibsen fu addirittura costretto a trovargli un nuovo finale perché la protagonista si rifiutava di impersonare una madre da lei ritenuta snaturata. Ma, al di là di ogni contenuto polemico, il dramma resta opera di una grande e complessa modernità, abitata da personaggi capaci di parlare ancora ai nostri contemporanei. Partendo da una nuova e attenta rilettura di questo grande classico di fine ‘800, attraverso una riscrittura e rielaborazione scenica del testo, si approda così ad uno spettacolo dove il centro è “il dramma nudo”, spogliato di bellurie ottocentesche e convenzioni borghesi.

Nessuno è ciò che sembra veramente, tutti ci portiamo dentro segreti più o meno confessabili, azioni passate non esattamente cristalline, e un presente fatto anche d’ipocrisia. Lo sviscera Ibsen nel suo complesso Casa di bambola, dove Nora, madre di tre figli e moglie dell’avvocato Torvald Helmer, sembra una donna felice delle sue gioie familiari, del benessere economico arrivato con la fresca nomina del consorte a direttore della banca in cui lavora, e piacevolmente distratta dalle mille frivolezze che una vita agiata può permettere a una donna.

Suo contraltare, Torvald, uomo serio e “pensante”, conscio dell’importanza del suo impiego, che porta avanti con scrupolo e dedizione, in nome di una dignità personale che sfiora l’egoismo. Nella sua parte di “uomo serio”, considera la moglie, all’apparenza frivola, alla stregua di un grazioso giocattolo, una bambola preziosa da viziare e vezzeggiare, con cui condividere il benessere familiare, tuttavia all’ombra di un rigido conservatorismo borghese. Sin dalle prime battute, è evidente la differenza caratteriale fra i due coniugi: Valentina Sperlì, in questa prima parte dà vita a una donna allegra, forse anche un po’ svampita, persa in un suo mondo di cristallo, protetta dai soldi del marito; Danilo Nigrelli, è invece un Torvald pragmatico, attento al bilancio familiare, puntiglioso su qualsiasi questione, dalle spese natalizie ai vestiti della moglie. Fra i due sembra esserci un rapporto giocoso, all’apparenza felice, ma l’atteggiamento eccessivamente “patinato” della Sperlì lascia intendere come questa sia soltanto la superficie un abisso ben più profondo.
A rompere l’armonia del giocattolo creato da Torvald, giunge, la vigilia di Natale, la visita di Christine Linde, amica d’infanzia di Nora, rimasta vedova dopo un matrimonio senza amore, e tornata in città in cerca d’impiego; all’apparenza, ha tutta l’aria di una donna di buon cuore, che si è sacrificata per gli altri, accettando un matrimonio d’interesse con un uomo ricco per mantenere la madre vedova e i fratelli minori; adesso, vedova a sua volta, senza più la madre e i fratelli cui pensare, decide di rifarsi una vita lontano da casa. Fra le due donne, che non si vedevano da anni, torna subito l’antica complicità femminile, con il racconto delle proprie vicissitudini degli ultimi anni. Per dare a Christine una prova della sua amicizia, Nora si fa promettere dal marito che la farà assumere in banca, un gesto che però le costerà caro. Nel dialogo fra le due, veniamo a sapere che Torvald, pochi anni prima, è stato a lungo malato, e che è stata proprio la moglie a procurarsi i soldi per curarlo, incrinando così quell’immagine di donna passiva che sin qui ha dato. La recitazione della Sperlì assume un tono accorato, venato di accenti molto più intensi, che sono specchio di una scelta che ha lasciati i suoi strascichi nella sua esistenza: ha preso i soldi in prestito dall’avvocato Krogstad, ambiguo individuo che adesso lavora alla banca con suo marito, ma per farlo ha falsificata la firma sull’obbligazione, per avere la garanzia del padre, che però all’epoca era gravemente malato, e poco dopo morì.

Nora si trova quindi nella delicata posizione di difendere un doppio segreto: la firma falsa sull’obbligazione, e la provenienza dei soldi, che Torvald non approverebbe, sia per ragioni di principio, sia per ragioni d’orgoglio. A mettere in crisi la vita di Nora, lo stesso Krogstad, che è stato licenziato da Torvald proprio per assumere Christine. L’avvocato, che nasconde un passato di truffe, si reca quindi da Nora, con la ferma intenzione di ricattarla per riavere il suo impiego; gli è infatti necessario per rifarsi una vita, allontanarsi dal suo passato non cristallino, e lasciare ai figli un nome onorato. Per questo, minaccia di portare in tribunale l’obbligazione con la firma falsa, e scrivere a Torvald una lettera in cui racconta la vicenda, facendo così emergere il suo segreto. Cominciano per Nora due giorni di angosce, che spazzano via la serenità conquistata, angosce ben rappresentate anche a livello visivo con scene in chiaroscuro, affollate di voci, vissute a metà fra la consapevolezza e l’inconscio, metafora di quanto sia profonda l’interiorità di ognuno di noi, di quanto sia facile passare da uno stato d’animo all’altro, sulla base di quanto è opprimente ciò che portiamo dentro. Lo stesso ritmo dello spettacolo passa repentinamente da toni leggeri a toni più drammatici, in un angosciante successione quasi meccanicistica.
In mezzo, la finzione con Torvald, il mostrare di essere ancora la donna di prima, concentrata sul ballo che i vicini di casa offriranno la sera di Natale, e dove si esibirà danzando una tarantella. Chiede a Torvald di aiutarla nel provare i passi, e la scena che ne segue, con la Sperlì che si muove come una bambola di legno, in una cupa luce invernale, è la metafora di tutto lo spettacolo, del suo rapporto falso con il consorte, che la considera una personalità infantile, e la guida passo dopo passo nell’esistenza quotidiana. Per un istante, Nora medita di chiedere i soldi in prestito al Dottor Rank, amico di famiglia di lunga data, minato da una malattia incurabile, e segretamente innamorato di Nora, che forse, nel suo intimo, ricambia. Ma non ha il coraggio di fargli la richiesta, scegliendo di consigliarsi con Christine: prima di sposarsi, ebbe una relazione con Krogstad, e potrebbe usare la sua influenza per farlo recedere dai suoi propositi. Ci riesce, facendo leva sull’affetto che li legò in passato, e proponendogli di riallacciare la relazione. Tuttavia, l’ambigua Christine chiede all’avvocato di restituire l’obbligazione, ma di mandare comunque la lettera a Torvald, perché la menzogna di Nora venga scoperta.
E quando Torvald legge la lettera, esplode in una ridicola ira tragicomica, preoccupandosi per la sua reputazione, forse macchiata dall’azione della moglie, e dimostrando nei suoi confronti una profonda ingratitudine. Un’ira sgraziata, quella portata sul palco da Nigrelli, che dà la misura di un uomo meschino, integerrimo sul lavoro, ma spiritualmente vuoto, e dimostra la sua vuotezza quando Krogstad rimanda l’obbligazione; accortosi che la vicenda resterà ormai sepolta per sempre, è pronto a dimenticare la sfuriata, e a riprendere con Nora la vita di prima. Ma è adesso che la donna dimostra tutta la sua forza interiore, rovesciando su Torvald, in un crescendo di drammaticità, tutta la sua insoddisfazione di donna trattata come una bambina, creduta incapace di compiere scelte difficili mossa da sentimenti profondi, e di assumersene la responsabilità. Unico suo torto, la fiducia che il prossimo (riposta dapprima anche in Krogstad) si comporti guidato da nobili istinti.
Nessuno si salva, in questa ambigua storia: Torvald si dimostra uomo onesto, ma egoista e incapace di comprendere la moglie. Christine, è l’amica che l’ha tradita, pur avendo potuto essere la persona che meglio la comprendeva, avendo anche lei passati momenti difficili. Krogstad, all’apparenza infido, si dimostra in realtà migliore delle apparenze, volendo lottando con tutti i mezzi per riscattare il suo passato torbido, e quasi rinunciando a tutto il suo piano, ma cedendo soltanto alla richiesta di Christine, della quale è innamorato. Roberto Valerio offre un’interpretazione di spessore per un personaggio difficile, dalle tante sfumature psicologiche, che nel corso dello spettacolo raggiunge una vera e propria catarsi. Eroina sfortunata della storia, Nora, donna incompresa e sottovalutata, dal padre prima e dal marito poi, tenuta prigioniera in una sorta di bolla di vetro, colpevole forse d’ingenuità, che troppo tardi trova la forza di reagire. La sua occasione mancata, è rappresentata da fugace Dottor Rank, che Massimo Grigò interpreta con la giusta dose di disperata ironia: minato da una malattia incurabile, si rassegna a trascorrere gli ultimi mesi all’insegna di un’amara allegria, frequentando la casa di Nora dove si sente accolto come un membro della famiglia. S’intuisce l’amore che lo lega alla donna, che forse lei nel suo intimo ricambia, anche non ha mai avuto il coraggio di manifestare, ormai legata a Torvald. Un matrimonio che però è destinato a finire, come la stessa Nora annuncia: è infatti decisa a lasciare casa e famiglia, per rifarsi una vita; una scena però onirica, psicologica, forse metafora di un allontanamento soltanto morale, che cela l’incapacità della donna di essere davvero indipendente. Il finale resta aperto, insondabile come lo stesso animo umano, capace di ottenere mille sfumature.
Con il piglio registico che gli è abituale, Roberto Valerio riveste di contemporaneità un classico del teatro borghese di fine Ottocento, attraverso un taglio venato di amarissima comicità, allo scopo di raccontare la vicenda in maniera più realistica, un espediente che ricorda il Bertolt Brecht dell’Ascesa e caduta di Arturo UI, che appunto con piglio comico raccontò la tragedia dell’ascesa al potere di Hitler; una drammaturgia indirizzata, quindi, verso quel “realismo prospettico” teorizzato da Castri, per il quale il teatro rappresenta la realtà non in maniera diretta, ma leggermente distorta. Ne emerge un’umanità tragicamente vera, dove egoismo e materialismo opprimono quei pochi gesti sinceri che l’individuo riesce a compiere.

Niccolò Lucarelli

 

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