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Descrizione
Eduardo scrisse questa commedia in tre atti nel 1945, ispirandosi probabilmente a un episodio di cui fu protagonista suo padre, Eduardo Scarpetta. Racconta infatti quest’ultimo che la sua famiglia, in ristrettezze economiche, fu costretta a lasciare la propria abitazione da un giorno all’altro per una nuova sistemazione, all’apparenza eccezionale in rapporto all’affitto ridottissimo da pagare. Dopo alcuni giorni si chiarì il mistero: la casa era frequentata da un impertinente “monaciello”… Questi fantasmi!, una delle opere più importanti di Eduardo, tra le prime ad essere rappresentata all’estero (nel 1955 a Parigi), ha sempre raccolto unanimi consensi. Un successo assoluto ascrivibile allo straordinario meccanismo di un testo che, nel perfetto equilibrio tra comico e tragico, propone uno dei temi centrali della drammaturgia eduardiana: quello della vita messa fra parentesi, sostituita da un’immagine, da un travestimento, da una maschera imposta agli uomini dalle circostanze.
Quando il sipario si apre sul second’atto di “Questi fantasmi!” si prova il piacere sublime dell’attesa che si scioglie. La scena è fra le più note dell’intera opera di Eduardo De Filippo e ci mostra il protagonista Pasquale Lojacono a colloquio con il professor Santanna: “l’anima utile, che non si vede”, il frutto di una trovata geniale: l’avere trasformato gli “a parte” del teatro comico in una conversazione a due. E poco importa se l’interlocutore non si vede. Sappiamo che c’è, che è uno di noi.
Oltre che famosa, la scena è fondamentale. Lojacono è uscito sul balcone dell’appartamento di diciotto stanze che abita con la moglie Maria. Lo ha ottenuto a titolo gratuito con l’unico scopo di sfatare la diceria che lo vuole infestato dai fantasmi, e perciò inabitabile. E dunque eccolo qui, il temerario. Ha fatto la siesta e si beve all’aria aperta il caffè che si è preparato con le proprie mani, fiero degli accorgimenti con cui riesce a trasformare il caffè in cioccolata. Racconta i suoi trucchi al professore (per esempio il “coppitello” di carta sul becco della caffettiera, “lo vedete il becco, professore? Qua, dove guardate? Questo… Vi piace sempre di scherzare”), senza mancare di confessargli che in quel rito del caffè lui è solo. “Mia moglie non mi onora… queste cose non le capisce… è molto più giovane di me… mia moglie non collabora…”. E aggiunge che nessuno potrebbe preparargli il caffè come lo prepara lui: “Dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze, non trascuro niente”.
Fra i motivi immediati del successo di allora c’è senz’altro il tema del fantasma, del “munaciello” così caro al pubblico napoletano e così presente nella tradizione teatrale della città. Ma c’è anche altro. C’è per esempio il rapporto con Pirandello, che viene citato, quasi copiato, nell’entrata in scena della famiglia di Alfredo Mariano, l’amante di Maria, “una famiglia di fantasmi” che pare uscita dai “Sei personaggi”. Pirandello torna ancora con il concetto della vita “tra parentesi”. Lojacono vive “tra parentesi”. Accetta l’amante della moglie e ne fa il proprio fantasma soltanto perché “il fantasma” è benevolo con lui, gli mette denaro nelle tasche, gli semplifica la vita. Lojacono non vede, e se vede non capisce, o finge di non capire.
Sarà un gioco amaro, ma garantisce un utile. Nel momento in cui il gioco finisce, quando la parentesi si rompe, è la disperazione. Capite che siamo scivolati nel metafisico. Capite che siamo andati molto al di là della storiaccia di corna immersa in un clima di paradosso comico. Non siamo neanche più a Napoli. Con questi presupposti appare più che ragionevole la scelta della Elledieffe, ovvero della Compagnia di Teatro di Luca De Filippo diretta da Carolina Rosi, di affidare a Marco Tullio Giordana, a un non napoletano, la regia di “Questi fantasmi!”.
Giordana sembra affrontare l’impresa con una lucidità non disgiunta dall’affettuosità. Nella scena grigio-sporca di Gianni Carluccio, procede per piccole invenzioni, per brevi tocchi d’artista, concentrandosi poi, come è giusto, sul disegno dei personaggi e sulla loro orchestrazione. Ne scaturisce una esecuzione incantevole e in qualche tratto superba, dominata da Gianfelice Imparato, che fa di Pasquale Lojacono una figura indimenticabile. Come dice Eduardo, è un uomo scontento ma non vinto, e bisogna vederlo alle prese con se stesso, con le proprie paure, i risentimenti, le speranze, soprattutto con il senso di fallimento dal quale tenta caparbiamente di uscire.
Irresistibile Nicola Di Pinto, il portiere sgrammaticato e mariuolo che fa risaltare e rende quanto mai palpabili i trasalimenti di Lojacono. E ricordiamo ancora Massimo De Matteo, l’amante travestito da fantasma, Paola Fulciniti, Giovanni Allocca. Lasciamo per ultima Carolina Rosi, la cui Maria ha qui un peso diverso da quello attribuitole da Eduardo. Nella commedia la sua presenza è indefinita, incerta tra l’andare e il restare. Qui non è soltanto una donna dal carattere ben formulato, ma con una persuasiva forzatura diventa la padrona del proprio destino. Quando si tratta di scegliere tra il rimanere con il marito e il fuggire con l’amante, Maria va per una terza strada. Anticipando i tempi, sceglie di essere una donna libera. E’ la quadratura del cerchio, oltre che una delle molteplici ragioni per cui questo spettacolo diventa imperdibile.